Fassino e l'equilibrismo laico-clericale

mercoledì 23 maggio 2007

Sono passate alcune settimane ormai, settimane che in politica spesso possono significare una serie di eternità messe in fila, da quando Piero Fassino declamò la sua replica in occasione dell'ultimo, letteralmente l'ultimo (forse), congresso dei Democratici di Sinistra a Firenze dell'aprile scorso. Benchè siano molti, anzi, più di molti, i passaggi di quella replica che io non condivido, che critico e che tutto sommato non mi sorprendono affatto, ce n'è uno che non mi lascia pace e che mi ha indignato più di altri per spudoratezza, ipocrisia ed equilibrismo politicante, nonché di malcelato opportunismo. Un passaggio sulla laicità, o pseudo tale, che mi ha fatto venire alla mente una frase che Pier Paolo Pasolini scrisse in un articolo pubblicato sul “Mondo” il 30 ottobre 1975 “...manovre, congiure, intrighi, intrallazzi di palazzo, passano per avvenimenti seri. Mentre per uno sguardo appena un po' disinteressato non sono che contorcimenti tragicomici e, naturalmente, furbeschi e indegni”. Affinchè non si dica che viene estrapolata una frase da un contesto più ampio, così da esser tacciati di faziosa strumentalizzazione sterile e fine a se stessa, riporto qui di seguito tutta l'articolazione che Fassino ha fatto sul tema della laicità nella sua replica. <<... La laicità è ascolto, e fondamento della laicità è l'autonomia dello Stato.... (ecc...) Però badate, non ce la caviamo dicendo libera Chiesa in libero Stato. Questo è un principio sacro, certo. E non ce la caviamo neanche dicendo semplicemente che lo Stato non può aderire a una ragione di fede. Giustissimo. Il problema è: ma lo Stato, nel momento in cui legifera, nel momento in cui norma, nel momento in cui cioè deve affrontare la sostanza di un problema, come lo fa? Questo è il tema del rapporto col mondo cattolico. Del rapporto tra credenti e non credenti. E cioè come mettiamo insieme punti di vista e approcci diversi per costruire una sintesi? Perchè dire semplicemente che lo Stato non assume e non può identificarsi in un punto di vista di fede o anche in un punto di vista filosofico è un principio che però poi deve fare i conti con la funzione regolativa che lo Stato deve esprimere. E la funzione regolativa non è soltanto una funzione metodologica; si esercita nel momento in cui dal metodo passi al merito, come dice sempre il mio amico Cofferati. E cioè affronti i problemi di sostanza. E affrontare i problemi di sostanza significa costruire delle sintesi condivise. Io su questo insisto. So che questo è un dibattito aperto tra noi. E so anche che spesso viene, come dire, equivocato e frainteso. Il ricercare sui temi eticamente sensibili un punto d'incontro e di sintesi tra credenti e non credenti non è la manifestazione dell'ansia della ricerca di legittimazione politica. Chi la legge così fa un errore. Ce lo ricordava bene Amato prima. E' un altro tema, è un altro problema più di fondo. Ed è che quando si interviene su questioni delicate, enormemente delicate che attengono alla vita e alla morte, all'esistenza degli individui, alla persona, alla sua soggettività, alle sue relazioni affettive e sessuali con gli altri... beh... Attenzione; si interviene in un campo in cui è assolutamente necessario costruire delle leggi che da un lato garantiscano a ciascuno la libertà delle proprie scelte che sono incomprimibili e incoercibili, e al tempo stesso che quella libertà possa essere esercitata nella responsabilità senza lacerare una società.>> Io penso che il punto sia proprio qui. La “responsabilità”. Si tratta proprio, da un lato, dell'etica della responsabilità e, dall'altro, dell'etica della convinzione. Lo Stato ha il dovere morale, politico e giuridico, tutto democratico (e la democrazia non è un caleidoscopio di compromessi), sia di assumersi esso stesso la propria ampia responsabilità, ovvero scongiurare ed adoperarsi per porre immediato rimedio qualora l'esercizio, o l'inesercizio, delle “proprie” (non di altri) funzioni fosse causa di una lacerazione nella società (società di individui, con diritti naturali e politici, di libertà, di autocoscienza e di più ampia responsabilità personale, morale, civica e di diritto), quanto di individuare determinatamente di chi sia, al di fuori dello stato di diritto, la responsabilità di quella lacerazione quando non è dello Stato. E assumendosi queste responsabilità deve agire e operare di conseguenza. Senza sintesi di sorta o senza atti condivisi con chicchessia che fosse causa di qualsivoglia tipo di lacerazione. Che apparirebbero davvero atti ipocriti, omissioni, equilibrismi o, come meglio ha scritto Pasolini, “contorcimenti tragicomici e, naturalmente, furbeschi e indegni”. Lo Stato non deve ricercare “il male minore, la sintesi più condivisa” tra il diritto e una (una) dottrina religiosa, di fede. Oppure la sintesi tra posizioni che non appartengono allo stato di diritto. Questo è un fallimento. Questo è lo stato etico, paternalista nel migliore dei casi. Un regime concessorio autoreferenziale e quindi illiberale, antidemocratico. Su questo terreno, in altre latitudini, troppo, purtroppo, vicino alla nostra deriva verso lo stato etico, già si sposta la barra in direzione di fondamentalismi dove la fede, le gerarchie ecclesiastiche, stanno ferme nella loro dottrina dogmatica e irrazionale costringendo lo Stato a compromessi con la laicità. Anziché avvenire il contrario, come dovrebbe essere in uno stato di diritto. È, questa, una limitazione. Un deragliare dai fondamenti delle stesse premesse sul significato dello stato laico che pur Fassino afferma nella sua replica. Io lo chiamo equilibrismo. Francamente mi sembra anche stucchevole questo abuso, questa strumentalizzazione ipocrita e questa volgarizzazione, rozza, del termine “laico”. Cui davvero bisognerebbe fermarsi a riflettere sul vero e sul significato proprio di questo vocabolo. Ma si parla di sintesi condivise. Sintesi tra cosa? Condivise con chi? È questo il punto. Le leggi dello Stato devono essere una sintesi tra ragioni laiche e dottrine di fede? Condivise con le gerarchie vaticane, sempre più lontane dal popolo dei cattolici credenti, che dettano regole etiche univoche e impongono veti ai parlamentari della Repubblica? Oppure, come credo debba essere, lo Stato deve affermare leggi e diritti che esulano da credi religiosi, per quanto diffusi? I quali diritti, essendo laici, possono avere semplice e naturale aderenza ad ogni individualità sociale affinchè si considerino per questo forti e libere di riconoscersi in essi, senza conflitti di contrapposizioni con l'origine di quell'altro da sè e che attiene alla fede. Il dibattito è antico. Troppo antico, mi pare. Avverto intendimenti reazionari, che riportano il dibattito, anche sul piano filosofico, a periodi precedenti l'illuminismo e la rivoluzione copernicana non tanto di Copernico, ma dello stesso Kant. E ci porta, strettamente, alla discussione sulle cosiddette radici cristiane dell'Europa. «I padri fondatori della Comunità europea - ha osservato il ministro per il Commercio internazionale Emma Bonino - erano tutti, o quasi, democristiani di ferro». Come De Gasperi, Schumann, Adenauer. Ma per loro «fu naturale semmai riferirsi ai frutti di libertà, democrazia, solidarietà, laicità che da quelle radici si sono sviluppati e che sono alla base del progetto di integrazione europea. Cosa erano, apostati?». «Mi sono adoperato lungamente e silenziosamente per introdurre il riferimento della radici cristiane nella Costituzione europea. Credo però che non esserci riuscito non vuol dire che il testo le disconosca». Lo ha detto il presidente del Consiglio, Romano prodi, nel suo saluto al congresso europeo della Comece (Commissione degli episcopati della Comunità europea) in occasione del cinquantenario dei Trattati di Roma e proprio nel giorno in cui anche papa Benedetto XVI ha affrontato il tema dell'origine cristiana della cultura europea. Tuttavia, secondo Prodi, quella fase «è un retaggio del passato». Da parte sua, il segretario dei Ds Piero Fassino, intervenuto alla riunione dei socialisti a Berlino, ha detto che nella costruzione dell'Europa il contributo della cultura cristiana è innegabile ma si affianca a quello di altre tradizioni culturali. Dice infatti Piero Fassino: «Dobbiamo lavorare perché nella Carta si inserisca tutto quello che possiamo metterci così da arrivare ad un testo il più corrispondente possibile alle aspettative di tutti. E' indubbio che cultura e identità europee si siano fondate su cristianesimo e cattolicesimo, ma dobbiamo tenere conto anche degli apporti di diverse sedi e culture, ad esempio l'ebraismo» [...]. Questo deragliare addirittura dalle fondamenta cristiane a quelle “cattoliche” ci lascia, a dir poco, perplessi. Certamente critici e fortemente contrapposti. Mai come ora, appare evidente, è necessaria una battaglia forte e determinata per l'affermazione della laicità dello Stato. Quand'anche condotta con quel “anticlericalismo vecchio stile” che non ci si concede quasi fosse l'avversario tenuto a legittimare le armi con le quali dobbiamo difenderci. Fassino, però, bontà sua, ha inoltre commentato che “le parole del Papa non vanno strumentalizzate per conquistare voti”. Che “Benedetto XVI parla come capo della Chiesa, mentre lo Stato e la politica si occupano e rispettano tutti, dunque anche i laici italiani”. Anche. Anche i laici, dice Fassino. Ci avviciniamo a uno Stato etico, propugnatore di fede, che riconosce qualche diritto “anche” ai laici? Sono basito. Sempre sul tema, il cancelliere tedesco e Presidente di turno dell'Unione Europea: “Sono dell'idea che serva una identità europea sotto forma di contratto di Costituzione e che questo contratto debba essere collegato al cristianesimo e a Dio. Perché il cristianesimo ha formato in maniera decisiva il continente". Parole pronunciate da Angela Merkel proprio in occasione di una visita a Papa Benedetto XV. Ci domandiamo di quale Cristianesimo e di quale Dio parli, se è quella stessa Angela Merkel che, da presidente di turno dell'Europa unita ha provato a boicottare, impedire, mettere in difficoltà, l'affermazione e la proposta italiana, ed europea, in merito alla presentazione di una risoluzione per la moratoria internazionale sulla pena di morte all'Assemblea generale dell'Onu in corso di svolgimento. Questo non mi pare un atteggiamento coerente, bensì ipocrita e strumentale. Certamente non cristiano. La risposta più ferma all'appello della cancelliera è venuta dal capogruppo del PSE (Gruppo a cui, non mi pare irrilevante, appartiene il Segretario dei Democratici di Sinistra, Piero Fassino, e il suo partito), il socialdemocratico tedesco Martin Schulz, alleato di governo della Merkel a Berlino ma, soprattutto, rappresentante del principale gruppo politico che al Parlamento Europeo si è battuto per il principio di laicità nella carta costituzionale europea. “È importante difendere la sostanza della Costituzione nella sua forma presente. Una nuova discussione sull'introduzione dei valori cristiani sarebbe un peso non necessario nella discussione in corso sulla Costituzione", ha affermato Schulz. Un gruppo, il Pse, a cui appartiene anche il Cumhuriyet Halk Partisi (CHP) (Partito Repubblicano del Popolo) della Turchia. Una Turchia che recentemente, con una monumentale manifestazione, ha affermato la difesa della laicità dello Stato pur essendo a prevalenza di fede musulmana. Lo storico medievalista Le Goff, alla domanda: Che ruolo ha svolto esattamente il cristianesimo nella storia dell'unità europea? afferma che «Identificare Europa e cristianità sarebbe sbagliato. Si può dire che nella cristianità c'è una prefigurazione dell'Europa, ma si tratta di due realtà diverse. D'altra parte è bene precisare che, se il cristianesimo ha svolto un ruolo fondamentale nel preparare l'Europa unita, l'Europa non è uno spazio religioso. E, per come si costruisce oggi, a mio parere può essere solo un'Europa laica, rispettosa delle religioni e della pratica religiosa. Detto questo, storicamente, il cristianesimo ha operato alla presa di coscienza di un'unità europea. La prima organizzazione territoriale dell'Europa furono i vescovadi, le parrocchie. In seguito, le credenze e le pratiche cristiane hanno modellato tutti gli uomini e le donne che vivono nello spazio europeo. Infine, il cristianesimo ha portato a quegli uomini e a quelle donne principi che hanno definito l'Europa e la sua originalità. Penso, ad esempio, alla separazione tra Chiesa e Stato: anche nel periodo di onnipotenza della Chiesa, il cristianesimo ha predicato agli europei che bisogna "dare a Cesare quello che è di Cesare". È una differenza fondamentale, sia rispetto al cristianesimo ortodosso che all'islam e all'ebraismo» D'alema, Presidente del partito di Fassino, afferma che "L'identificazione Europa-cristianesimo è ingiusta verso l'Europa stessa che già oggi è multi religiosa e multietnica", ha detto D'alema sottolineando che "il tema dell'identità europea non può essere definito in termini di esclusione. Il vero grande problema è quello di individuare un nucleo di valori condivisi senza i quali la multi religiosità diventa frantumazione e caos". Ecco che qui ritorniamo ai “temi condivisi” richiamati da Fassino nella sua replica, seppur D'alema ne attribuisca un valore ben diverso da quello propugnato da Fassino e che francamente ci sembra univoco, unilaterale e miope. Quasi dottrinale e teologico. Certamente opportunista. Non è infatti un bel concetto democratico la ricerca di qualcosa di condiviso tra due, e solo due, maggioranze (non è, forse, oligarchia, questa?). Una delle quali, tra l'altro, deve cedere gran parte dei propri fondamenti valoriali derivati dal diritto laico, in nome di una condivisione di temi con chi non concede nulla e anzi gode di questi principi laici dello Stato per affermare contro la stessa laicità dello Stato i suoi precetti religiosi e che fanno, o vorrebbero fare, del peccato un reato. Insomma, ci pare che quello che abbiamo definito equilibrismo ed opportunismo della replica di Fassino, e che già Pasolini definì contorcimento tragicomico, lo ritroviamo nell'aderenza a un certo discorso che fece il guardasigilli Rocco del governo Mussolini. E' richiamo azzardato? Allora andiamo a rileggere il bel libro di Ernesto Rossi “Il manganello e l'aspersorio”. In esso troviamo una certa modernità del dibattito attuale, durante il quale si scongiura un certo anticlericalismo “vecchio stile”, stile anni settanta, per intenderci, che occorre superare, secondo Fassino, (“non ce la caviamo dicendo libera Chiesa in libero Stato”). <superato l'anticlericalismo vecchio stile” e riconobbe la necessità di una politica molto più favorevole di quella svolta fin'allora verso la Chiesa. Benito Mussolini prese subito la palla al balzo. In una lettera al ministro-guardasigilli osservò che “superate le pregiudiziali del liberalismo” (Fassino: non ce la caviamo dicendo libera Chiesa in libero Stato. E non ce la caviamo neanche dicendo semplicemente che lo Stato non può aderire a una ragione di fede), il regime fascista “aveva ripudiato tanto il principio dell'agnosticismo religioso dello Stato, che quello di una separazione tra la Chiesa e lo Stato, altrettanto assurda quanto la separazione tra spirito e materia>> (Fassino: lo Stato, nel momento in cui legifera, nel momento in cui norma, nel momento in cui cioè deve affrontare la sostanza di un problema, come lo fa? Questo è il tema del rapporto col mondo cattolico. Del rapporto tra credenti e non credenti. Come mettiamo insieme punti di vista e approcci diversi per costruire una sintesi? Perchè dire semplicemente che lo Stato non assume e non può identificarsi in un punto di vista di fede o anche in un punto di vista filosofico è un principio che però poi deve fare i conti con la funzione regolativa che lo Stato deve esprimere. E la funzione regolativa non è soltanto una funzione metodologica; si esercita nel momento in cui dal metodo passi al merito. E cioè affronti i problemi di sostanza. E affrontare i problemi di sostanza significa costruire delle sintesi condivise). Mi pare davvero che ci siano molte analogie tra queste argomentazioni. Senza per questo voler attribuire moti autoritari o fascisti a Fassino. Semplicemente vogliamo vederci un certo approccio barocco ed opportunista. Poco, anzi per niente, liberale, laico, democratico. <il grave dissidio che, dal '70 in poi, aveva tormentato la coscienza degli italiani” dissidio che aveva costituito “una versa spina nel fianco della Nazione>> (Fassino: quella libertà possa essere esercitata nella responsabilità senza lacerare una società). Su questo è illuminante il parere espresso in un libro del 1932 da Vincenzo Morello, senatore fascista, nel quale Morello riconobbe che “il dissidio storico fra l'Italia e la Santa Sede non aveva mai toccato la sostanza della religione, ma le relazioni politiche, derivate dalla forma di reggimento che la Chiesa si era data, e che contrastava con gli interessi e le aspirazioni e gli ideali dell'Italia in cerca della sua unità e della sua indipendenza: dissidio che era stato risoluto con la proclamazione di Roma capitale”. Queste argomentazioni hanno portato, come sappiamo, al Concordato con lo Stato Vaticano. A me pare che occorre riflettere su dove stiamo andando. Su dove sta andando la classe politica, dirigistica, illiberale, di questo nostro Paese. E dove ci stanno portando. E' preoccupante tutto quel che sta accadendo. Ed occorre, ora più che mai, riaffermare la laicità di uno Stato di diritto che appare purtroppo sempre più debole, sempre più vulnerabile, sempre più minato nelle sue fondamenta repubblicane e liberali. Attenzione! Nota tecnica importante!! Dalla segnalazione di un gentile utente ho potuto verificare che i commenti al Post Su Augias e D'Elia, compagni radicali state sbagliando, ERANO chiusi. Me ne scuso, non era intenzionale. Forse era dovuto all'inesperienza della gestione del Blog (era il primo post inserito e quindi può esserci stato qualche pasticcio). Tuttavia ora ho sistemato l'inconveniente. I commenti precedentemente e provvisoriamente postati qui su quell'argomento sono ora stati trasferiti nella loro giusta sede. Mi scuso per il disservizio.

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