LA FUNZIONE DELLO SPIRITO SANTO NELLA CONCEZIONE DI ZWINGLI

giovedì 31 dicembre 2009

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Lo Spirito Santo nella teologia di Zwingli riveste carattere e significato primario, inglobante e conglobante, tanto che si può parlare di lui come del “Teologo dello Spirito Santo” e per la sua teologia di “Panenteismo Pneumatico” (il Panenteismo, termine coniato da Krause, 1828, è un’alternativa al panteismo spinoziano secondo cui Dio si identifica con la natura sino ad esserne una cosa sola, e al teismo secondo cui Dio è assolutamente trascendente dal mondo).

Non si tratta di “mero” spiritualismo, poiché Zwingli non cambia nulla rispetto alle basi della teologia cristiana, della trinità, dell’incarnazione di Cristo e del Kerygma evangelico. Semplicemente, vorremmo dire, Zwingli individua nello Spirito Santo la “forma preferenziale” attraverso cui Dio si esprime verso di noi e verso il mondo o, almeno, come noi riusciamo “facilmente” a comprenderlo e ad esserne coinvolti. Lo Spirito Santo è ad un tempo segno, indicatore e chiave di Dio, attraverso la quale noi lo comprendiamo ed Egli sceglie di presentarsi, senza per questo assegnare un ruolo subordinato alle altre forme della volontà divina. E’ Zwingli stesso ad affermare in un suo sermone che “Lo Spirito o Soffio divino circola ovunque, indaga ogni cosa e quindi ritorna nel suo cerchio”. Ogni cosa è ripiena di Dio, ovvero di Spirito Santo, e viceversa. Lo Spirito è una realtà multidimensionale e Zwingli assegna preferenzialmente all’incipit Giovanneo il significato di “nel principio era lo Spirito, e lo Spirito era presso Dio, e lo Spirito era Dio”. La formazione umanistica e antimaterialista di Zwingli è evidente, ma il suo è un umanesimo biblico cristiano e non di matrice umanistico-rinascimentale. Il pensiero zwingliano si spinge fino a ribaltare la consequenzialità luterana Parola-Fede-Spirito e ci consegna la scala Spirito-Fede-Parola, poiché è lo Spirito e non la Parola che crea la fede. La fede è “muta” e solo in un secondo tempo si articola in linguaggio, in principio c’è lo Spirito (che soffia, da sempre, anche là dove la Parola non ha ancora parlato). In certo senso (spero di non scrivere una stupidaggine!!) Zwingli de-antripizza Dio (ma non come Spinoza), per sottrarlo al nostro giudizio, riconoscendo nelle altre forme di Dio, e in special modo l’incarnazione, una “azione”, un’iniziativa, un’impresa di Dio stesso. Una azione attraverso la quale Egli presenta se stesso come è: Padre, Figlio e Spirito Santo. Nella definizione di Zwingli lo Spirito Santo è “la terza persona divina, è lo spirito del Padre e del Figlio, anzi è il vincolo tra uno e l’altro”.

IL “SACERDOZIO UNIVERSALE”

mercoledì 25 novembre 2009

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L’altro scritto “occasionale” di Lutero è Alla Nobiltà Cristiana della Nazione Tedesca, dell’agosto 1520. Con questo “Appello” Lutero intese, da un lato, abbattere le “tre muraglie di carta e di paglia” che la Chiesa di Roma aveva eretto tra sé i fedeli al fine di costruire e consolidare il proprio potere, ed impedirne ogni riforma, e dall’altro, conseguente, chiamare a raccolta le coscienze cristiane (rappresentate principalmente dalle istituzioni nobili e laiche) per promuovere e realizzare quella Riforma della Chiesa che diversamente non si riusciva ad ottenere, a causa delle “tre muraglie”, appunto.

La prima di queste muraglie di paglia e carta è il sacerdozio esclusivo del clero, la distinzione di natura tra chierici e laici, tra chi detiene il sacerdozio e chi ne è subordinato, tra la gerarchia dei “ministri” e i cristiani non “ordinati”. Una Chiesa divisa in due, insomma, come se ci fossero due specie di cristiani, due popoli anziché uno, con un “corpo di Cristo” (la Chiesa) diviso in due.

Lutero segnala il carattere abusivo e illegittimo di questa divisione, priva di fondanento scritturale, tra quelli che detengono il potere di predicare, insegnare, assolvere, governare, amministrare i sacramenti e i beni della Chiesa (il clero), e chi ne è subordinato (i laici).

Nella nota 27, p. 59, dello stupendo volume curato da Paolo Ricca, Alla Nobiltà Cristiana della Nazione Tedesca, (Lutero, Opere Scelte – Claudiana, 2008), Ricca scrive: “Non ci sono due categorie di cristiani, ma una sola. Con questa affermazione Lutero ribaltava una visione teologica più che millenaria e scardinava alla base l’intero edificio ecclesiastico medievale con la sua impalcatura gerarchica, alla quale Lutero toglieva ogni fondamento teologico. Implicitamente nasceva una nuova visione e una nuova forma (appunto una ri-forma) di Chiesa, costituita da un’unica categoria di cristiani, quella creata dal battesimo, che è per tutti una vera ordinazione sacerdotale [il Sacerdozio Universale ndr]. […]La dottrina del Sacerdozio Universale dei credenti era già stata evocata in una lettera di Lutero a Spalatino: <Inoltre mi incalza l’apostolo Pietro dicendo […] che siamo tutti sacerdoti, e la stessa cosa dice Giovanni nell’Apocalisse; cosicché questo genere di sacerdozio, che è il nostro, non sembra differire affatto dai laici, se non per il ministero, con il quale si amministrano i sacramenti e la Parola. Tutto il resto è uguale.>

I SACRAMENTI NEL PENSIERO E NELL’OPERA DI MARTIN LUTERO

lunedì 7 settembre 2009

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Sebbene Lutero ritorni spesso, nei suoi numerosi scritti e sermoni, sul tema dei sacramenti, mi piace affrontare la questione partendo dal De Captivitate Babylonica Eccclesiae, in cui Lutero espone una sorta di “manifesto teologico”, con toni accesi, polemici e determinati, in contrapposizione al fatto che essi “[…] ci sono stati miserabilmente sottratti dalla Curia di Roma, la quale ha spogliato la Chiesa di tutta la sua libertà […]” (per la traduzione uso il testo di Italo Pin, Studio Tesi, 1984, per quanto la presentazione di Sergio Quinzio contenga dei grossolani errori).

In questo scritto occasionale dell’ottobre 1520, Lutero affronta il tema dei Sacramenti con mirabile discorsività ed eccellente aderenza alle scritture. Tale discorsività si esplica nel fatto che inizialmente e in via di riserva sugli sviluppi successivi del suo argomentare egli scriva: “per cominciare, rifiuto i sette sacramenti, e, per il momento, ne accetto solo tre: battesimo, penitenza ed eucarestia […] per quanto, se volessi parlare sulla base della Scrittura, troverei soltanto un Sacramento e tre segni sacramentali… […].

Dopo una lunga, e interessante, analisi dei sacramenti imposti dalla Chiesa di Roma, demolendo di volta in volta le basi su cui essi si appoggerebbero, o affermandone in due casi il fondamento scritturale, Lutero nelle ultime pagine giunge alla conclusione: […]”Ne consegue che, se vogliamo esprimerci rigorosamente, nella Chiesa ci sono soltanto due sacramenti di Dio, il battesimo e l’eucarestia, poiché solo in questi vediamo che è stato istituito da Dio un segno associato alla Promessa della remissione dei peccati” […].

Partendo da Agostino e basandosi sulle Scritture, è nel Battesimo e nella Cena che Lutero individua i segni visibili della promessa. E’ con essi che Dio esprime le parole di salvezza, che operano nell’uomo mediante la fede.

Se, successivamente, per quanto concerne il Battesimo si innescherà il dibattito, e il conflitto, degli e con gli Anabattisti sul pedobattesimo, è nella qualità della “presenza” di Cristo negli elementi del pane e del vino che ci sarà un confronto, e una rottura, con Zwingli e Calvino.

Per il luteranesimo delle origini, per l’ortodossia luterana e ancora oggi nel luteranesimo contemporaneo, la qualità della “presenza” di Cristo negli elementi è consustanziale (ma senza accettare la transustanziazione), ovvero vi è (est!) presenza reale e simultanea del pane e del corpo di Cristo. Alla domanda: Come avviene questo? Lutero risponde: Dio lo sa, questo basta.

E’ evidente l’inconciliabilità con la presenza “anamnetica” di Zwingli e con il “compromesso” tra le due posizioni operato da Calvino.