GLI ELEMENTI CARATTERIZZANTI DELLA RIFORMA RADICALE

venerdì 29 gennaio 2010

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Per “Radicali” e “Riforma radicale”, termini coniati per distinguerli dalla Riforma Classica (Magisterial Reformation), s’intende un complesso e articolato mondo di idee e comunità che mossero la loro azione in condizioni intenzionalmente avulse dall’ordine costituito generalmente inteso e, per questo, perseguitati e spesso violentemente attaccati (e uccisi anche in forme crudeli e di massa), anche da parte degli esponenti della Riforma classica. Di ciò, peraltro, i radicali se ne fecero una sorta di vanto e una bandiera per affermare la loro ortodossia evangelica rispetto a chi, invece, dall’interno della società operava secondo processi, a loro dire, compromissori e mistificanti. E’ il caso di evidenziare, tuttavia, che anche da parte di alcuni radicali l’azione delle loro rivendicazioni fu tutt’altro che pacifica.

Le basi riformatrici coincidevano, e non è il caso qui di riassumerle. Ma essi, appunto, radicalizzarono le loro posizioni verso approdi che non è inappropriato definire anarchici. Gli elementi caratterizzanti di questa distinzione furono infatti la totale separazione tra ordine civile e ordine religioso, e l’assoluta negazione dell’ingerenza reciproca, nonchè la richiesta di un’aderenza vincolante all’insegnamento evangelico, senza compromessi o reinterpretazioni di sorta, attraverso l’unione in spirito con Cristo.

Esponente, tra gli altri, di questo radicalismo intransigente, fu Muntzer, che predicò una vera e propria “rivoluzione dell’uomo comune”, ovvero dal basso, attraverso scritti che esaltavano la rivolta del popolo, unico elemento della società che a buon diritto poteva reggerla e dominarla con il consenso di Dio, e che si concretizzò in scontri sanguinosi.

Tra i movimenti radicali emerge principalmente quello Anabattista, che metteva fortemente in discussione la svolta costantiniana della Chiesa. Da quando cioè la Chiesa, nel IV sec., si fuse con l’impero fino ad assumerne le sembianze ed a occuparne il trono, trasformandosi in altro da sé e corrompendosi definitivamente con e nel mondo. Da queste premesse di carattere, se vogliamo, politico-sociale, ne derivarono una serie di distinzioni e particolarismi dottrinali e teologici (uno fra tutti, il pedobattesimo).

LA PRESENZA DI CRISTO NELLA CENA SECONDO ZWINGLI

lunedì 11 gennaio 2010

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La pneumatologia zwingliana ha, evidentemente, effetti caratteristici (e dirompenti) anche sul tema controverso della presenza di Cristo negli elementi della Cena.

Zwingli rifiuta come gli altri Riformatori la dottrina della transustanziazione, che definisce come l’espressione di un’idolatria che si spinge fino alla magia e alla superstizione pagana più becera. Tuttavia non accetta nemmeno la consustanziazione luterana, negando la presenza materiale e reale di Cristo negli elementi. Egli parte dalla riflessione secondo la quale alle parole di Cristo “questo E’ il mio corpo”, attribuisce al verbo “est” non l’essere presente realmente, bensì il valore di “significa”, ovvero un valore simbolico, spirituale. Non dobbiamo semplicisticamente attribuire a Zwingli questa conclusione in ragione di una sua speculazione tutta personale, perché non va dimenticata la sua formazione umanistica e filologica dalle cui basi prende spunto per interpretare le Scritture (ad fontes!). Perciò la sua conclusione non ha un mero significato letterario, filosofico e apologetico nella sua pneumatologia, ma ha fondamenti filologici e teologici precisi. Sono molti gli scritti in cui Zwingli espone la sua posizione in merito alla cena, anche perché la polemica sulla qualità della cena esplose in forme aspre e vide l’intervento in scritti di attacchi e risposte da parte di Lutero, Carlostadio e molti altri teologi intervenuti nella querelle.

Ma è nel Commentario sulla vera e falsa religione (1525) che Zwingli espone con precisa chiarezza e sistematicità il suo pensiero. In realtà Zwingli non nega una presenza reale di Cristo nella Cena; la sua presenza non è però nel pane e nel vino bensì nell’anàmnesi (nel ricordo), cioè nell’atto compiuto dalla comunità nella forza dello Spirito e in obbedienza alla parola ricevuta. Insomma, è una Presenza Anamnetica. Reale, in spirito, ma non negli elementi, che restano “molecolarmente” immutati, bensì nel segno sacramentale costituito dall’atto di obbedienza della comunità nel ricordare, e ripetere, quanto insegnato e richiesto da Cristo ai fini della salvezza. Attraverso l’atto della comunità il soffio (lo Spirito) divino è presente in tutta la sua realtà.