LA PREDESTINAZIONE PER GIOVANNI CALVINO

lunedì 8 febbraio 2010

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Occorre anzitutto premettere che per lungo tempo, e a torto, si è identificato Giovanni Calvino con la Dottrina della Predestinazione. Sebbene, infatti, questa dottrina si ritrova in misura costante nei sui scritti, essa costituisce solo una parte della teologia calviniana, anche in ragione della sua collocazione all’interno delle opere di Calvino, che è ben più articolata. Lo stesso errore, spesso strumentale, lo si commette quando si identifica il Calvinismo con Calvino, attribuendogli le distorsioni e gli eccessi tipici dell’ortodossia riformata.

Per delineare il pensiero di Calvino sulla Predestinazione si fa abitualmente ricorso all’Istituzione, nella versione del 1559, Libro III, capp. 21-24. Ma la troviamo altrettanto chiaramente delineata anche nel Catechismo (1537). Questa Dottrina non è nuova; già Agostino (ma non solo) la sviluppa in modo molto ampio. Le peculiarità della comprensione calviniana della Predestinazione sono principalmente due: la prima è di averla riconsiderata sotto la luce soteriologica riformata, ovvero della salvezza per sola fede mediante la grazia. La seconda è di averla legittimata secondo un’inoppugnabile base biblica. I suoi effetti saranno dirompenti per la Storia e la società moderna.

In sintesi è la dottrina secondo la quale Dio, nella sua prescienza e nell’eternità del tempo (dall’Inizio), ha esercitato la sua volontà assoluta eleggendo alcuni credenti e predestinandoli alla salvezza eterna e ad essere suoi figli ed eredi del Regno dei Cieli in base alla sua eterna elezione. Nulla può fare l’uomo, attraverso le opere o altro, per modificare la volontà assoluta di Dio da Lui esercitata predestinando alcuni alla salvezza ed altri alla morte. Calvino ci stimola, e ci dissuade, a non cercare le motivazioni di questa volontà/giustizia divina, e considera “morbosa” la curiosità di indagare quel mistero. L’uomo è troppo rozzo per comprenderlo. Quindi ognuno di noi è già predestinato ab initio da Dio, alla salvezza o alla morte. A differenza dell’aspetto salvifico dato da Tommaso D’Aquino alla predestinazione, Calvino attribuisce ad essa la giustizia divina che dona la grazia (non dimentichiamo la risposta di Calvino nella lettera a Sadoleto, nella quale affermava che compito dell’uomo non è ricercare la salvezza, ma onorare Dio). Segno della elezione è dunque la fede donata da Dio mediante la grazia. E in considerazione della fede acquisita, che è uno stato di “comunione mistica con Cristo” si ottengono gli effetti della Duplice Grazia: la Giustificazione di chi crede e il processo di imitazione di Cristo. Tutto questo non può che avere ricadute positive per il credente nella società, che si esplicano nella ortodossia cristiana e quindi nel successo (in sintesi!). Tuttavia, ne consegue la controversa dottrina della Doppia Predestinazione, secondo la quale Dio ha predestinato alcuni alla salvezza, ed ha predestinato altri alla morte.

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